LA CASA DELLA NONNA







IL MONDO DI INGMAR BERGMAN
nella scrittura e nei film

LANTERNA MAGICA e FANNY e ALEXANDER



Ingmar Bergman, da "Lanterna magica", pagina 23


Frammento del prologo di Fanny e Alexander: 
L'orologio  a carillon e la morte

Per me il grande appartamento
(forse non poi tanto grande) che dava sulla silenziosa Tradgârdsgatan
era un concentrato di sicurezza e di magia.


I numerosi orologi misuravano il tempo,
la luce del sole scorreva sulla verde, sconfinata distesa dei tappeti.
Le braci profumavano nelle stufe di maiolica,
nel fumaiolo si sentiva un rumore di tuono e gli sportelli tintinnavano.
Di tanto in tanto s'udivano i campanelli d'una slitta giù in strada.
I rintocchi provenienti dalla cattedrale chiamavano alla messa o a una cerimonia funebre.
La mattina e la sera si sentiva la campana della chiesa di Gunilla, fioca e lontana.



Mobili antichi, tendaggi pesanti, quadri dai colori cupi.

In fondo alla lunga, scura anticamera c'era una stanza interessante,
con quattro buchi praticati nella porta, vicino al pavimento,
tappezzeria rossa, un trono di mogano e felpa, decorato e con
guarnizioni in ottone. Al trono conducevano due scalini coperti da un
soffice tappeto. Quando si sollevava il pesante coperchio del sedile si
guardava giù in un abisso di tenebre e odori.
Ci voleva del coraggio per sedersi sul trono della nonna.

Nell'anticamera c'era un alto camino di ferro
che diffondeva il suo particolare odore di carbone bruciato e metallo riscaldato.

In cucina Lalla prepara la cena, una nutriente minestra di cavoli.
La fragranza si sparge calda e intensa per tutta la casa e si fonde in una più alta sintesi
con le vaghe esalazioni della stanza segreta.
Per una personcina il cui naso dista tanto poco da terra,
i tappeti hanno l'odore fresco e forte della naftalina che
assorbono quando, durante i mesi estivi, sono riposti arrotolati.

Ogni venerdì Lalla lucida il vecchio parquet
con cera e trementina, è un odore che stordisce.
I pavimenti di legno nodoso e pieno di schegge odorano di sapone nero.
Il linoleum viene pulito con una puzzolente soluzione di latte acido e acqua.


Le persone sono generalmente delle sinfonie d'odori:
cipria, profumo, sapone al catrame, urina, sesso, sudore, pomata, sudiciume e cibo.
Alcuni hanno un odore generico di essere umano,
altri hanno un odore rassicurante, altri ancora minaccioso.
La grassa zia di papà, Emma, porta una parrucca
che fissa alla testa calva con una colla speciale. Tutta zia Emma odora di colla.
La nonna odora di «glicerina e acqua di rose»,
un tipo d'acqua di Colonia che si comprava con tutta semplicità in farmacia.
La mamma ha un dolce profumo di vaniglia,
quando si arrabbia le si inumidisce la peluria sul labbro superiore
e sparge un odore metallico appena percettibile.
Una giovane bambinaia leggermente zoppa, rotondetta e dai capelli rossi,
di nome Marit, è la mia preferita per quanto riguarda gli odori.
Non c'è niente di più bello che stare distesi nel suo letto,
tra le sue braccia, con il naso premuto contro la sua ruvida biancheria.


Un mondo perduto di luci, profumi, suoni.
Quando sono immobile, sul punto di addormentarmi,
posso aggirarmi di camera in camera, vedo ogni dettaglio, so e conosco.
Nella tranquillità, a casa della nonna,
i miei sensi si sono destati e hanno deciso di conservare ogni cosa, per sempre.
I giorni, le settimane e i mesi dalla nonna
rispondevano forse a un bisogno, in me sempre urgente,
di silenzio, di regolarità, di ordine.

Giocavo ai miei giochi solitari senza desiderare compagnia.
La nonna sedeva alla scrivania, in sala da pranzo, e
indossava un lungo, nero grembiule dagli orli azzurri. Leggeva un libro,
faceva i conti oppure scriveva lettere, il pennino scricchiolava
leggermente. In cucina Lalla si dava da fare canticchiando tra sé.

Io mi chinavo sul mio teatrino delle marionette,
provavo un piacere intenso alzando il sipario sull'oscuro bosco di Cappuccetto Rosso
o sul salone illuminato di Cenerentola.
Il mio gioco si faceva padrone della scena,
la mia immaginazione la popolava.

Una domenica ho il mal di gola e vengo
dispensato dall'andare alla messa solenne.

Rimango solo in casa.
L'inverno sta per finire e la luce del sole compare e scompare
con rapidi, silenziosi movimenti sulle tende e sui quadri.
L'enorme tavolo della sala da pranzo si innalza al di sopra della mia testa,
io sono appoggiato con la schiena a una delle gambe tondeggianti.
Le sedie intorno al tavolo e le pareti sono coperte di cuoio dorato
scurito dal tempo e che odora di vecchio.
Alle mie spalle si erge come un castello la credenza,
le caraffe di vetro e le coppe di cristallo brillano alla luce incostante.
Alla parete, a sinistra, è appeso un grande quadro che
raffigura case bianche, rosse e gialle.
Sorgono da un'azzurra distesa d'acqua,
sull'acqua galleggiano lunghe barche.

L'orologio della sala da pranzo, che quasi raggiunge il soffitto decorato,
parla tra sé, burbero e occupato solo di se stesso.
Dal posto dove sono seduto posso guardare
nel salone pervaso di luce verdognola.
Pareti, tappeti, mobili, tende verdi, e felci e palme in vasi verdi.
Riesco a intravedere la nuda, bianca signora dalle braccia tagliate.
E' un poco chinata e mi osserva con un vago sorriso.
Sul cassettone panciuto, con le maniglie e i piedi
d'oro, è posto un orologio dorato, sotto una campana di vetro.
Un giovane suonatore di flauto si appoggia al quadrante.
Accanto a lui c'è una donnina con un grande cappello
e un'ampia gonna corta. Sono dorati.

Quando l'orologio batte le dodici, il giovane suona il flauto e la ragazza balla.
Ora la luce del sole risplende, accende i prismi del lampadario di cristallo,
corre sul quadro con le case che sorgono
dall'acqua, accarezza il biancore della statua.

Ora suonano gli orologi,
ora la ragazza dorata balla, il ragazzo suona,
ora la nuda signora volge la testa e mi fa un cenno,
ora la Morte trascina la sua falce sul linoleum del buio vestibolo,
la intravedo, vedo il suo teschio giallo e il sorriso,
la sua cupa figura dinoccolata attraverso i vetri della porta. 

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